È un’espressione comune che illustra come la gente non si muova finché le cose non prendono una piega irreversibile. Un modo di dire che esorta alla necessità di svegliarsi prima.
Sta passando in questi giorni sulle tv una bellissima pubblicità Unicredit firmata dal regista Ozpetek (su YouTube la versione 180’’) dal titolo ‘Unicredit per l’Italia’. Il nipote osserva i due nonni titolari di una bella pasticceria chiudere sconsolati il negozio in una serata spettrale. Probabilmente in questi giorni gli affari vanno peggio di prima e il nonno sembra in procinto di lasciar perdere. A casa trovano però la figlia seduta al computer che li rassicura: ‘domani avrete una nuova vetrina sul mondo’. Il nipotino intento sull’albero di Natale si lascia sfuggire una pallina rossa (simbolo Unicredit) che scivola sulla piazza della cittadina e d’incanto ci trasporta in una realtà felice post pandemica.
Un bellissimo racconto, fotografia eccellente, musica perfetta, una morale che ci auguriamo sia quella giusta ma da cui dobbiamo trovare entusiasmo e coraggio. Però, c’è un però. Perché l’Italia che produce e che vende si trova in parte nelle condizioni illustrate dal film-spot nel 2020? Perché non abbiamo ancora le autostrade digitali in grado di metterci al passo delle grandi economie del mondo. Perché il processo di digitalizzazione della popolazione in Italia è ancora agli inizi. Perché le app e i siti ministeriali non funzionano mai il primo giorno?
Perché non abbiamo ancora capito tutti che dobbiamo mettere insieme competenze digitali e umane per essere ancora competitivi sui mercati e perché no divertirci con qualcosa di nuovo. Serve l’acqua sotto il culo, direbbe mio padre. Serve rendersi conto che i modelli con cui siamo nati non sono più sufficienti, che le persone mantengono gli stessi desideri con richieste diverse. In questi anni è esploso Amazon, le consegne a domicilio della cena. Tutte mode, che passano dicevano. Mentre l’acqua si alzava inesorabilmente senza scendere.